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Maldive, un blogger e le dosi della dottrina

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Amnesty International ha pubblicato nei giorni scorsi un rapporto dalle Maldive, tra le isole più incantevoli sul pianeta. http://www.amnesty.org/en/library/info/ASA29/005/2012/en

Dal titolo si può però capire che lontano dai resort ovattati dove si ode solo il canto degli uccelli e lo sciabordio del mare, una ferita profonda sta creando strascichi indelebili nella vita di decine di migliaia di persone. Di certo una parte consistente dei 300 mila isolani sparsi per 200 isole abitate, ma soprattutto a Male, la capitale. Per essere cittadini maldiviani, occorre essere islamici puri al cento per cento, possibilmente Sunni.

Il dossier di Amnesty si chiama L’altro lato del Paradiso (per qualche riferimento a ciò che accadeva all’indomani del golpe vedi http://bultrini.blogautore.repubblica.it/2012/03/02/maldive-un-fragile-paradiso/) e si basa su numerose interviste e denunce di abusi dei diritti umani all’indomani del cambio di poteri che ha spodestato l’ex presidente Mohamed Nasheed e inserito al suo posto Mohamed Waheed. Parlano i superstiti delle violazioni, le loro famiglie, avvocati, attivisti, medici, funzionari della sicurezza e politici di alto livello.

Secondo Amnesty, non un solo caso penale è giunto alle soglie di un tribunale, anche se fin dall’inizio numerosi poliziotti sono stati accusati di aver abusato della forza con casi documentabili di tortura senza mai nemmeno una indagine interna.

Per questo abbiamo pensato di cogliere l’occasione di allegare un racconto inedito realizzato nel luglio scorso grazie alla collaborazione di J.J. Robinson, un informatissimo giornalista inglese direttore delle news di Minivan,  sito web dove scorre più o meno giorno per giorno la moviola di ciò che accade soprattutto a Male, ma anche nel resto delle 1196 isole. L’articolo è dedicato alla vicenda di un blogger, un collega che operava (e opera, ma ora dall’esilio) dalla capitale, scrivendo uno o più commenti al giorno su fatti quotidiani che normalmente non trovano spazio sulla stampa locale o all’estero. Il suo riflettore, e la sua penna, erano (e sono) indirizzati a un certo tipo di fondamentalismo della società maldiviana. Più che politiche in senso stretto, le sue campagne sono dottrinarie e sociali. La sua brutta avventura è significativa per capire quanto – non solo nelle Maldive – la dottrina possa essere rischiosa se data in grandi dosi.

Il blogger "Hilath” in ospedale (foto AFP)

Il blogger "Hilath” in ospedale (foto AFP)

BANGKOK – Ismail Rasheed è un ex giornalista conosciuto come “Hilath” dai lettori del suo blog, zeppo di post contro il fondamentalismo islamico nelle paradisiache isole Maldive a sud dell’Oceano indiano. La sera del 4 giugno tornava a casa dalla preghiera del venerdì alla moschea quando vide il suo aggressore, un giovane vestito di giallo, nel vialetto d’ingresso del suo appartamento.

Non c’era apparentemente nessun altro in quell’angolo residenziale dell’affollata capitale Malé, da mesi sull’orlo di  una crisi politica e sociale senza precedenti. Ma d’un tratto si è sentito chiamare per nome, e voltandosi ha visto altri due uomini barbuti emergere dal buio. Subito il ragazzo in giallo “con l’alito che odorava di alcool” lo bloccava alle spalle e gli faceva luccicare davanti agli occhi uno di quei coltelli dalla lama sottile usati per aprire le scatole di cartone. “Mee Shaheem, Imran, Muttalib faraathun hadhiyaa eh“, “con i complimenti di Shaheem, Imran e Muttalib” (tre leader politici e religiosi ortodossi locali, ndr) gli ha detto nella lingua locale Dhivehi, mentre tagliava la sua gola all’altezza della trachea. “Ero terrorizzato, cercavo di gridare aiuto, ma dalla ferita usciva solo aria”, racconterà il blogger a J.J. Robinson del sito locale di news Minivan. L’uomo col coltello lo ha lasciato lì in una pozza di sangue, miracolosamente vivo.

Ismail chiuse la ferita come poteva con la mano sinistra, e con la destra si aggrappò alla spalla di un generoso motociclista che lo ha raccolto rantolante e portato all’ospedale in pericoloso equilibrio tra buche e traffico. Giunse appena in tempo per salvarsi, anche se le sue condizioni erano disperate. Nessuno sa dove si trovi adesso, ma basta aprire il suo blog www.hilath.com – ancora censurato nelle Maldive – per vedere che da qualche luogo di esilio continua a postare le stesse denunce che gli sono quasi costate la vita. Scrive di “intolleranza religiosa dilagante” ad ogni livello della società e della politica, di oscuri legami tra fondazioni, banche arabe, e partiti fondamentalisti, di abusi commessi da una parte dei musulmani isolani contro tutti gli altri, quelli che non seguono la via Sunnita ortodossa dei Wahabiti sauditi.

Concentrazione urbana nella capitale Malé

Concentrazione urbana nella capitale Malé

C’è un contrasto stridente tra il clima creato a Malè dal golpe del febbraio scorso per destituire l’ex presidente moderato Muhamad Nasheed, e i panorami idilliaci degli atolli di sabbie bianche che accolgono milioni di  ricchi turisti da tutto il mondo (se ne aspettano oltre un milione alla fine del 2012). Dei 300 mila abitanti dell’arcipelago, Ismail alias Hilath è stato per anni uno dei pochi a non essersi mai nascosto dietro agli pseudonimi per scrivere ciò che pensava dell’aumento di donne velate e uomini barbuti, soprattutto vivendo nella capitale di appena 100mila anime dove tutti conoscono tutti. Infatti più volte lo avevano già minacciato di tagliargli la gola o di decapitarlo, oltre ad accusarlo di essere un “gay e un drogato”, rigorosamente anonimi dietro ai nomignoli di battaglia islamici. Tutti tranne un certo Siruhan, che ha perfino celebrato sul suo Siru Arts di Facebook l’attacco con il rasoio.

Pochi mesi prima, gli avevano già spaccato il cranio lanciandogli una pietra mentre guidava una protesta contro l’intolleranza in una strada affollata di Malé. Per quel piccolo corteo, sfilato in silenzio con appena una trentina di altri coraggiosi partecipanti, Ismail si era fatto anche tre settimane di carcere, ordinate sotto il tollerante regime di Nasheed dal Ministro per gli affari religiosi del tempo, membro del partito fondamentalista Adhaalath. Lo accusarono di “attività anti-islamiche”, ovvero reclamare la libertà religiosa su queste isole che ufficialmente adottano la sharia come base legislativa nazionale.

L’attacco di giugno è stato il primo contro un giornalista maldiviano con l’intento di ucciderlo, e ha trovato grande eco con le parole di condanna del “crescente clima di intolleranza” pronunciate da numerose organizzazioni dei diritti umani. In un arcipelago dove ogni residente deve professare la religione musulmana se vuole mantenere la cittadinanza, Ismail non fa mistero di seguire la via del Sufismo, i mistici dell’Islam che predicano la “Jihad della pace interiore” come il poeta Rumi, gli stessi che convertirono le popolazioni di queste isole nel XIII secolo, guidati dal santo persiano Abu’l-Barakat Berberi, sulla cui tomba oggi è proibito pregare.

Agenti sigillano gli uffici del web di "Hilath”

Agenti sigillano gli uffici del web di "Hilath”

Secondo Ismail le banche dell’Arabia saudita e di altri Paesi arabi del Golfo non fanno mistero di finanziare organizzazioni religiose ortodosse come l’Ong Jamiyyatul Salaf, che si occupa di educare i giovani maldiviani al credo più radicale, o l’Islamic Foundation of Maldives (IFM), che ha appena aperto la prima tv esclusivamente dedicata “a programmi religiosi e sociali”. L’ala politica dei wahabiti isolani è l’Adhaalath o Partito della Giustizia, che oggi da uno è passato a due ministri nel nuovo Gabinetto formato dopo il golpe di 6 mesi fa esatti. Suo è il dicastero degli Affari religiosi, lo stesso che fece chiudere il blog di Hilath.

Eppure a confermare la teoria di Ismail che nel passato delle Maldive non ci sono mai stati ostacoli di intolleranza religiosa, è la stessa storia del successo turistico di questi 1200 atolli, di cui 200 abitanti e 80 occupati da resort. Un turismo ricco, poco invadente, che paga la privacy e non vorrebbe vedere ripetersi i disagi subiti prima e durante il golpe di febbraio, con le famiglie spaventate dai disordini e l’incertezza del domani.

Nessuno sa oggi se l’ortodossia xenofoba tollerata dal nuovo governo prenderà piede sempre di più, come sembrano far capire episodi tra i quali lo stesso tentato omicidio di Ismail, i vandalismi nei musei della storia buddhista e la distruzione di un monumento dedicato all’alleanza interregionale Saarc che conteneva semplici riferimenti a siti archeologici in India.

Molte buone famiglie, anche di pacifici commercianti e pescatori, credono alle parole di mullah pachistani, sceicchi arabi e mulvi locali come Sheikh Fareed e Sheikh Ilyas secondo i quali il turismo può avere portato ricchezza, ma con la ricchezza “i vizi dell’Occidente”. Tra questi la criminalità, la prostituzione (“mandereste vostra figlia a lavorare in un resort dove circolano uomini seminudi?”, tuonò uno di loro durante la preghiera del Venerdì), l’omosessuaità, l’alcool e la droga. Non a caso Ismail – e lo stesso ex presidente trombato Nasheed – sono stati accusati di tutte queste tre “violazioni” delle leggi coraniche.

Cannonate d'acqua su alcune donne fedeli all'ex presidente dimesso

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Le minacce contro di loro per il momento non sono riuscite a farli desistere dai rispettivi propositi. Nasheed insiste nel tornare subito alle urne per dimostrare che la sua linea liberale raccoglierà di nuovo un plebiscito, come accadde nel 2008, quando sconfisse dopo decenni di potere assoluto il presidente dittatore Gayoom che lo aveva fatto arrestare e torturare più volte. Ma oggi Gayoom è considerato il vero capo ombra del nuovo governo, mentre il Partito democratico di opposizione è quasi quotidianamente colpito da arresti. Nasheed stesso potrebbe finire in cella per le numerose manifestazioni anti governative non autorizzate finite con incidenti. Però è una mossa delicata, perché potrebbe scatenare rivolte indomabili e difficilmente l’economia delle Isole reggerebbe l’impatto di un conseguente crollo del turismo.

Da parte sua, il blogger Ismail non sembra particolarmente ottimista: “Mi aspetto altri omicidi nell’immediato futuro – ha scritto – Non sono solo io del quale vogliono liberarsi, ma di un sacco di gente”.


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